17 giu 2025
La metropoli e quel ramo del lago di Como… La pittura luminosa di Walter Trecchi
Tratto da Il Giornale OFF - Jacqueline Ceresoli
16 giugno 2025
Un viaggio nell’universo pittorico di Walter Trecchi: tra città, boschi e il lago di Como, la sua pittura luminosa racconta la complessità e la bellezza del paesaggio contemporaneo.
Walter Trecchi, pittore comasco, appassionato di disegno, tessuti e intrecci tra pittura ad olio di paesaggi urbani e naturali, predilige lavorare immerso nella natura, avvolto da chiaroscuri nella sua casa-atelier, dove nascono le sue opere che rispecchiano e trasfigurano tensioni verso l’essenza della luce e dimensioni fluide e trasparenti, come il suo lago.
Sei nato a Como nel 1964, vivi e lavori a Torno in provincia di Como, sei passato dal disegno per i tessuti alla moda internazionale alla pittura, quando e perché hai deciso di fare l’artista?
Sì, mi sono formato nel campo del disegno per tessuti. La mia non la ritengo esattamente una decisione bensì un’evoluzione del mio percorso personale, maturata per gradi, in maniera spontanea e dettata dall’esigenza di comunicare me stesso attraverso il mezzo espressivo per me più naturale. Non sono molto bravo con le parole, non lo sono mai stato, mi esprimo meglio per immagini ed è quello che voglio fare.
Quanto incide il paesaggio lacustre, la tua relazione con la natura nella tua ricerca artistica?
Il contesto in cui vivo è fondamentale, anche in rapporto con situazioni ambientali completamente differenti. Vivo a stretto contatto con la natura e la città suscita in me sentimenti contrastanti; un misto di attrazione e repulsione. Proprio da questi contrasti si sviluppa la mia tematica espressiva che fa riferimento alla metropoli di matrice espressionista in rapporto alla natura. L’equilibrio tra opposti e gli equilibri caratterizzano tutto il mio lavoro.
Hai esordito con paesaggi urbani post–sironiani, un tema di moda tra i secondi anni ottanta fino al nuovo millennio, in bilico tra realismo fotografico e immaginazione, poi sei passato alla fascinazioni per cantieri e zone industriali in via di trasformazione; quando e perché la città è diventata un laboratorio estetico e tema principale dei tuoi dipinti?
Non ho mai pensato consapevolmente di seguire tendenze specifiche ma quel che mi veniva più naturale esprimere. Proprio in contrasto al mio ambiente di vita, la città ha sempre rappresentato per me qualcosa di affascinante e nel contempo estraneo, una sorta di sentimento contrastante. Da questi sentimenti stati d’animo contraddittori si sviluppano le tematiche del mio percorso espressivo. Tutto è nato dall’interesse per le aree dismesse; in seguito e per contrapposizione la città in divenire tra cantieri e gru, il vissuto urbano e il rapporto delle opere dell’uomo con la natura. Tutto si sviluppa come capitoli di un libro, una storia che racconta di me e di noi in quanto esseri umani.
Tra i critici che hanno scritto testi per le tue mostre, c’è Maurizio Sciaccaluga, purtroppo scomparso prematuramente, cosa aveva individuato nel tuo lavoro?
Con Maurizio era nato un rapporto di reciproca stima, anche se ci conoscevamo da poco tempo. Io ero agli esordi e lui aveva cominciato a seguire il mio percorso con interesse sincero, dimostrando apprezzamento per la mia tecnica, la poetica e lo stile nell’interpretare la città. Era in quel periodo collaboratore di Vittorio Sgarbi. Mi coinvolgeva nelle sue iniziative ed era in corso una mia mostra personale a Milano da lui curata quando è improvvisamente mancato. Una persona gentile, professionale, corretta e disponibile. Abbiamo avuto poco tempo da condividere purtroppo, ma lo ricordo con molto affetto e gratitudine.
Camminare, esplorare e fotografare, quanto incide la fotografia – come prelievo della realtà – nella tua ricerca artistica?
E’ la base del mio lavoro, il punto di partenza, ma la sola fotografia non mi basta. E’ una realtà che sento il bisogno di rielaborare in pittura. L’atto di dipingere diventa un passaggio di ritraduzione di pensieri e sensazioni. E’ dare loro materia visibile. I tempi lunghi di realizzazione dell’opera diventano una sorta di meditazione che mi permette di analizzare i dettagli e rafforzare i concetti. Un’operazione che va al di là della semplice rappresentazione estetica e capacità tecnica, aspetti certamente importanti e che hanno la loro valenza, ma che diventano un mezzo di esaltazione del pensiero che è il fine primario.
Quali opere propongono vertiginose visioni prospettiche verticaliste dedicate ai grattacieli di Milano dal Pirellone a Torre Velasca, fino al complesso residenziale chiamato Bosco Verticale e perché ti affascina?
La serie intitolata “Linee di fuga” è quella in cui ho evidenziato maggiormente questo aspetto di verticalità e profondità prospettica. Milano è la metropoli più vicina e che frequento con più assiduità rispetto ad altre, della quale leggo più facilmente le caratteristiche. Il luogo specifico però non è per me l’aspetto più importante e Milano diventa perciò simbolo della “città” in senso generale.
La Milano del 2015, l’anno della tua mostra personale nella galleria di Federico Rui, pensata per l’Expo con dodici dipinti incentrati sul rapporto tra architetture moderne e la natura, risolti in simboliche “foreste” di cemento, ti seduce ancora? Oggi a parte la città cosa ti interessa dipingere?
Fondamentalmente sì, mi seduce raccontare l’ambiente di vita che costruiamo, di cui ci circondiamo e quanto tutto ciò condiziona il nostro modo di vivere. Lo analizzo nei suoi diversi aspetti, compreso il rapporto con la natura, soggetto che tratto in maniera particolare nelle ultime produzioni.
Dipingi olio su tela, mai provato altri supporti o sperimentato materiali diversi ? Se si in quali opere precisamente?
Olio su tela, con l’apporto di altri materiali quali stucco, colla, in passato inserti di tessuto per dare maggiore tridimensionalità. Ho sperimentato materiali ma sempre applicati su tela o su carta.
Dal paesaggio urbano, nel 2010 ti concentri di più sulla luce, l’ombra, il passaggio dal positivo e negativo, cosa voi esprimere con la serie Antropico-Naturale, Archi-nature e Naturae?
In queste serie pongo l’accento sul rapporto uomo-natura. Antropico-Naturale sono lavori in dittico nei quali evidenzio un parallelismo tra le forme create dall’uomo e quelle della natura, tra la verticalità dei palazzi e quella degli alberi, la tendenza naturale verso l’alto in cerca di spazio e luce. Con Archi-Nature immagino un’integrazione delle due situazioni, non sono rappresentazioni reali ma idealizzazioni di un rapporto simbiotico, un messaggio di riflessione sull’esigenza di equilibrio e non prevaricazione dell’uomo sulla natura per la nostra stessa sopravvivenza. In Naturae gli alberi e i boschi diventano protagonisti principali, dispensatori silenziosi di elementi essenziali alla nostra esistenza, non solo fisici ma anche spirituali.
Quando e perché hai cominciato a sviluppare opere astratto-geometriche in cui hai praticato anche il collage?
Agli esordi del mio percorso ho rivolto il mio interesse verso l’astrazione. Lo considero un periodo di studio di tecniche, forme essenziali e materia. Materia che in parte ho mantenuto anche nello sviluppo del mio stile più figurativo.
Qual è la mostra che ti ha dato maggiori soddisfazioni e perché?
Ci sono mostre che per diversi aspetti suscitano in me ricordi di belle sensazioni, ma questa domanda mi porta immediatamente alla mostra personale del 2006 in collaborazione con Federico Rui e curata da Alessandro Riva nello spazio pubblico del Broletto di Como. Un allestimento molto suggestivo nel contesto prestigioso di un luogo storico della mia città, che ha avuto riscontro di pubblico in un periodo per me di grande fermento.
Quali sono le gallerie che seguono e promuovono il tuo lavoro?
A Milano Federico Rui segue il mio lavoro dagli esordi e conosce il mio percorso in tutto il suo sviluppo, un legame duraturo che prosegue tuttora e da MC2 Gallery, anche se l’attenzione della galleria sia prevalentemente rivolto alla fotografia. Sul mio territorio Valentinarte promuove il mio lavoro e si rivolge ad un pubblico quasi esclusivamente internazionale. Ho avuto collaborazioni con Gallerie in Italia e all’estero a Londra, Parigi e Den Haag.
Hai collezionisti che investono nel tuo lavoro e sostengono da anni? Chi sono?
Ci sono collezionisti che ho conosciuto e altri con i quali non ho avuto modo ne occasione di avere contatti, altri ancora rimangono a me sconosciuti. Mi sento comunque di ringraziarli tutti ma in particolar modo vorrei citare Antonio Menon, una persona davvero speciale che oltre alla sua viscerale passione per l’arte e per la pittura nello specifico, si è impegnato nella creazione della Fondazione The Bank, un importante progetto di collezione, valorizzazione e studio della pittura italiana. Sono orgoglioso di fare parte di questo suo progetto e sento di poterlo ringraziare a nome di tutti.
Per chi dipingi e cos’è l’arte per te?
Fondamentalmente dipingo per me stesso in prima battuta e nel contempo per comunicare ed esprimere ciò che sento. Arte, a mio avviso parola spesso abusata per la sua difficile definizione in stretti confini. Ma proprio in questi indefiniti limiti racchiude la sua essenza. Potrei definirla personalmente come la capacità di ritradurre i sentimenti della natura umana. Fare arte significa per me essere in grado, attraverso il proprio mezzo espressivo di provocare reazioni, fare riflettere, trasmettere sensazioni che scuotano l’anima nelle sue profondità.
Hai due figli, loro cosa pensano delle tue opere?
Mi vedono dipingere da quando sono nati e penso rientri nella loro normale situazione familiare. Il mio spazio di lavoro è a casa e quindi è parte integrante del contesto di vita. Sono certo apprezzino quel che faccio.
Ti danno consigli o ti confronti con loro?
Matteo, il maggiore dei miei due figli, è architetto e con lui ho uno scambio di idee e di confronto più frequente e legato anche al suo interesse più diretto. Alessandro ha interessi e percorsi diversi ma parla di me ai suoi amici e promuove il mio lavoro, lo interpreto come un segno di stima e complicità.
Ci racconti come nasce un tuo dipinto dall’ideazione alla fase esecutiva?
Come ho accennato precedentemente la fotografia è la partenza per l’acquisizione dei soggetti. La fase creativa si sviluppa con l’elaborazione dei concetti che voglio esprimere e che prendono vita attraverso la creazione di bozzetti a computer che uso come traccia definita di ciò che intendo realizzare attraverso la fase pittorica.
Quali sono le fonti che ti ispirano nella tua ricerca artistica?
La realtà, dalla quale trarre spunto per elaborare i miei sogni e i miei pensieri. Camminare tra città e natura stimola le mie riflessioni che rielaboro in immagini che ritraduco nei miei dipinti.
Cosa ti aspetti in genere da mostra di vendere lo sappiamo ma cos’altro?
Vendere fondamentalmente significa essere stato in grado di stimolare un sentimento, un interesse. Quello che cerco è riuscire a comunicare il mio messaggio, farlo arrivare a chi ne fruisce. Ogni visitatore ha una propria interpretazione e sensibilità. Questa soggettività del fruitore è la bellezza delle diversità di sguardo. Quando però le visioni coincidono a ciò che voglio comunicare, allora ho raggiunto pienamente il mio scopo.
Quale opere del passato avresti voluto dipingere e perché?
Ci sono diverse opere che per vari aspetti toccano la mia sensibilità e che sento appartenermi. Se devo citarne una in particolare è sicuramente L’impero della luce di Renè Magritte, un’opera che mi ha affascinato fin dai tempi della scuola e che racchiude in se tutti quegli elementi di contrasto e spaesamento che scuotono i miei sentimenti.
A quale progetto stai lavorando?
Attualmente il mio lavoro è incentrato sulla natura come ispirazione per un lavoro estremamente introspettivo, basato sul concetto di mutazione e cambiamento. Entra in gioco l’acqua, elemento essenziale di vita e i suoi riflessi che distorcono le forme, specchio dei mutamenti che caratterizzano la nostra vita. Il titolo di questa serie di lavori è Metamorfosi.
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