11 nov 2023

Marco Bettio ad Aosta. Animali e montagne che ci guardano

Tratto da EspoArte - Gabriele Salvaterra
8 Novembre 2023

Le immagini che propone Marco Bettio sembrano galleggiare nel vuoto, epifanie che appaiono all’interno del rettangolo della tela decontestualizzate, pregnanti e senza orpelli narrativi. Amniotiche, appunto, proprio come un feto in procinto di nascere, beatamente immerso nel fluido potenziale della madre, prima di uscire alla vita, ancora puro e intoccabile in preparazione al contatto con il mondo, con le cose, con le situazioni, con tutto ciò che può sporcare e complicare una situazione a suo modo perfetta.

È una poetica coraggiosa e laterale quella che Bettio porta avanti ormai da diversi anni. Una ricerca solitaria e identitaria che facilmente si può prestare a semplificazioni e banalizzazioni. L’artista realizza ritratti, ma di una specie totalmente inusuale: animali, montagne e dolci. Non dunque scene di genere, paesaggi o nature morte ma vere e proprie effigi indirizzate a tutto quello che umano non è ma che è in grado con la sua presenza di raccontarci qualcosa della nostra condizione.

Da sempre l’alterità è uno specchio sul quale proiettare il nostro sguardo, le nostre aspirazioni e i nostri desideri. Sguardo che quindi torna al mittente ogni volta in maniera diversa dicendoci qualcosa di pieno e inaspettato. Scimmie colte nel loro ambiente naturale che si comportano proprio come noi, giocano, si relazionano, pensano, riflettono, si divertono; altri animali che invece usiamo e che corrispondono a strumenti della nostra vita “civile”; paesaggi con i quali confrontiamo il nostro ego; dolcetti ancora integri o totalmente mangiati, anch’essi “tracce di umanità” in grado di parlarci in negativo, per assenza.

Il meccanismo poetico e delicato di questi dipinti ricorda il memorabile film Au hasard Balthazar di Robert Bresson (1966), citato anche nel testo in catalogo da Gianluca Marziani. In questo componimento il protagonista è un asino, piuttosto passivo e antieroico, un simbolo cristologico che attraverso tutto quello che subisce non fa che riflettere silenziosamente le dinamiche, tristi e basse, della società. Non si tratta quindi di vicinanze legate al soggetto ma assonanze che risiedono nei processi, quasi cinematografici, a cui vengono sottoposti anche gli inaspettati personaggi-dipinti dell’autore.

Bettio in questa monografica, allestita come fosse un tutto unico e non un insieme di opere slegate, fissa esattamente la situazione – aperta, indescrivibile, mutevole – dell’uomo di fronte alla natura. Assieme a lui, in sottotraccia, ci sono le sue scelte, i suoi gesti e le sue decisioni che lo inseriscono in un contesto, ormai sempre più malato e in sofferenza. Ma se la ricerca dell’artista si esaurisse in un semplice (benché urgente) commento alle derive dell’antropocene o a un’illustrazione del pensiero ambientalista, ci sarebbe ben poco da osservare e da scrivere. In realtà si tratta di un discorso dalla qualità prettamente pittorica e dall’ambizione quasi morandiana che cerca di entrare nei misteri delle cose e nei silenzi delle relazioni che queste possono instaurare con l’osservatore e con l’artefice in primis. Alla fine ciascuno si trova solo di fronte a questi animali, ambienti, oggetti che come dei reagenti per l’anima mostrano in essi qualcosa di noi.

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